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Il compito del filosofo, cinquant'anni dopo lo scoppio del Maggio 68, è duplice. Egli può misurare l'effettiva potenza detonante della vicenda, ma può anche individuare, al di là della plurivocità delle istanze di lotta che l'hanno caratterizzata (studentesca, operaia e libertaria), una precisa diagonale del pensiero. Vale a dire l'inedita teoria dell'incontro politico che il Maggio 68 ha tentato di enunciare e consegnare alla storia. Questo nuovo principio organizzativo, quest'idea, certo silenziosa, non immediatamente discernibile, persiste fino ai nostri giorni e prescrive il nostro avvenire; solo se la riattiamo potremo dirci "contemporanei del Maggio 68". La concezione dell'evento di Badiou non è mai stata chiara come in questo testo: ad essere evenemenziale è l'urgenza di un modo singolare del politico, le sue conseguenze, non l'occupazione di un'università o di una fabbrica. La politica, quella vera, amministra insomma la realtà dell'idea. Essa è un problema di logica modale: "uno spinozismo accanito...". Su questa scorta, il bilancio del presente testo, pur nella sua flessuosità, non rinuncia filosoficamente all'iperbole: solo l'idea del Maggio 68 è reale.